“Bisogna ritornare sui passi già dati, per ripeterli, e per tracciarvi a fianco nuovi cammini. Bisogna ricominciare il viaggio. Sempre.”
Josè Saramago
India 2017
Il richiamo della terra è forte, il lago di Como sussurra ad Irina il bisogno di radici ed Irina risponde, trasferendosi a Faggeto Lario, in una casa dal profumo antico e solitario, in cui i mesi trascorrono chiari, lenti, sommersi, tra un bicchiere di whisky e il profumo di fiori, tra la fatica dei muscoli provati dalla montagna alla necessaria riabilitazione del cuore. E poi, accade. A questo punto della storia, Irina è pronta a comunicare ufficialmente il suo ritorno. Al mondo, alla musica, al suo primo amore. Tutti quelli che l’hanno conosciuta abbracciata al violoncello sono in fermento, la cercano, la chiamano, le organizzano concerti. Milano diventa la sua dimora, per un anno Irina si muove, suona, costruisce, raccoglie, trasforma, sedimenta, crea, respira, ripara, coltiva, prepara.
Forse, ma in questo caso potrei peccare di presunzione, è qui che ho iniziato a far capolino, perlomeno nelle sue fantasie, in quello spazio che sta tra il sonno e la veglia e che profuma sempre di possibile. O, forse, nell’aria c’ero già da prima, perché qui si fa doverosa una digressione temporale, un ritorno a quel primo viaggio in India così pieno e intenso, a stretto contatto con una realtà grande e diversa, che la stupisce e la avvolge come mai avrebbe creduto. È il novembre del 2015 e Irina viene scelta, per volere del destino, per genio e per bravura, tra i giovani musicisti chiamati a raccolta per i festeggiamenti in occasione del novantesimo compleanno di Sathya Sai Baba. Il colpo d’occhio è da mozzare il fiato: davanti ad un’orchestra infinita di giovani talenti, si stagliano dieci dei più grandi musicisti solisti indiani, che indossano strumenti tradizionali. Tra loro, il tablista Sai Shravanam, che entra a far parte della famiglia d’elezione di Irina, ma non solo. Il timbro profondo e caldo del tabla si insinua nella memoria, nel cuore e nel suo linguaggio artistico, colorando iniziali accenni di improvvisazione, contaminando la sua scrittura e gettando i primi, minuscoli semi di me, in un terreno che si è fatto via via sempre più fertile. Mossa da questo e forte della magia sonora costruita grazie a Sai, Irina cerca senza sosta, fino a quando non si imbatte (perché così doveva essere) nello straordinario mondo del Silkroad Ensemble che sta lì, ad un passo oltreoceano da lei, apparentemente irraggiungibile. Ma per chi è capa tosta ed è circondata da buoni consiglieri nulla è impossibile, così Irina s’ingegna, produce, suona, compone, non ci dorme la notte, persino, ma ce la fa, vince una borsa di studio e, anche grazie a Viva Audio, che le organizza una tournèe, parte, direzione Indianapolis, Stati Uniti.
È l’estate del 2017, sono in 84 tra i musicisti più promettenti del mondo, è il Global Musician Workshop e qui, tra colori, suoni, visi, ispirazioni e desideri, si aprono porte di cui Irina ignorava persino l’esistenza. Col cuore e la mente pieni di meraviglia, stringe un legame artistico con il violoncellista e direttore Mike Block ed il Maestro indiano Sandeep Das. Grazie agli stimoli di Block, prende vita, in autunno, a Faggeto, con i musicisti conosciuti in America, il GMW Silkroad Ambassadors, una settimana di workshop, jam session e concerti che lascia ad Irina la sensazione di essere, finalmente, sulla strada giusta. Non solo: grazie al carisma e al talento di Sandeep, fondatore del Silkroad insieme a Yo-Yo Ma, si spalanca per Irina la possibilità di esibirsi sui palchi straordinari lungo la via della Seta, possibilità che la portano, nel dicembre dello stesso anno, a Calcutta, in India. È proprio qui, al cospetto di questi fortunati incontri, del compositore cinese Wu Tong e di altri, che arriva, folgorante e inaspettata, l’idea di me. Un’entità viva, a sé stante, con membra e respiri indipendenti e armoniosi, qualcosa che prima non si vedeva, anche se c’era già. Nasco, dunque, e per giunta sotto lo sguardo benevolo di un Grammy Award come Sandeep Das. A ben guardare, non poteva andarmi meglio.